𝗚𝗟𝗢𝗕𝗔𝗟 𝗧𝗥𝗔𝗗𝗘 𝗧𝗔𝗟𝗞𝗦 𝗠𝗲𝗿𝗰𝗵𝗮𝗻𝘁𝘀 𝗼𝗳 𝗣𝗲𝗮𝗰𝗲: 𝗠𝗲𝗿𝗰𝗮𝘁𝗶 𝗔𝗽𝗲𝗿𝘁𝗶, 𝗖𝗮𝗻𝗮𝗹𝗶 𝗱𝗶 𝗣𝗮𝗰𝗲

Davvero interessanti gli speech degli autorevolissimi relatori presenti questa mattina all’evento organizzato da ICC Italia e Luiss Giudo Carli presso la sede della nota università a Roma.

Ovviamente le riflessioni hanno riguardato soprattutto i dazi proclamati da Donald Trump e le risposte che saranno date dall’Unione europea, come pure ciò che le imprese dovranno fare per affrontare i nuovi scenari globali.

Questa la sintesi degli interventi.

Raffaele Marchetti | Professore di Relazioni internazionali, Luiss Guido Carl

Nulla di così sorprendente sulla scena internazionale odierna. Siamo oggi alla fine di una lunga traiettoria che ha comportato per gli USA una sorta di “ritirata”, posto che sembra evidente che abbiano deciso di abbandonare la leadership che ha contribuito a creare il mondo del commercio internazionale come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi. Siamo già in piena transizione economica, Cina e BRICS nel giro di 15-20 anni saranno le economie più importanti, la prima supererà gli USA e i secondi i paesi del G7. In questo contesto l’UE appare quanto meno “affaticata” politicamente, con il peso relativo a livello mondiale della sua economia che scende progressivamente. Occorre un cambio di rotta, sul tema dell’integrazione che vada oltre quella formale, sui temi fiscali, anche scegliendo “campioni europei” in logica di competizione globale. Fondamentale poi la formazione che prepari le imprese all’internazionalizzazione, soprattutto le piccole e medie che costituiscono il tessuto produttivo nazionale. Infine, multilateralismo sì, ma occorre considerare anche altre opzioni.

Nota a margine: nessuna attenzione per i 90 milioni di persone di origine italiana all’estero, anzi, recenti scelte in opposta direzione.

Stefano Firpo | Direttore Generale, Assonime

L’atteggiamento USA appare autolesionista, ma non si capisce perché dovremmo correrne in soccorso come taluno sembra suggerire chiedendo fin troppa cautela nella risposta da dare. Siamo ormai in una vera e propria guerra commerciale. Sarebbe però sbagliato rispondere simmetricamente, comporterebbe davvero la fine della globalizzazione, cosa che è assolutamente da evitare. Ma neppure si può far finta di nulla, occorrono contromisure forti e aggressive, ma evitando dazi sulle merci (nella UE i paesi membri sono per lo più trasformatori), si può pensare di intervenire per esempio sulla tassazione dei servizi acquistati dagli USA. Se i dazi al 39% sono una bufala, sono vere in effetti le barriere non tariffarie di cui ha pure lamentato l’esistenza il Presidente Trump. Peraltro, come sostengono Draghi e Letta, sono rilevanti anche le barriere interne, come pure le discrasie fiscali tra i paesi membri. Segnali come l’accordo interno Mercosur e quello Cina-Corea-Giappone sono rilevanti e non si può non tenerne conto. La competizione è globale, ma le filiere sono sì globalizzate eppure sempre più frammentate. Le barriere non tariffarie (REACH, misure per il green deal, dal CBAM all’EUDR, e molte altre) vanno affrontate e ridiscusse. Bisognerebbe però da parte delle istituzioni UE rispondere in modo fermo alla bufala di Trump sui dazi.

Laura Travaglini | Senior Adviser per la Politica Commerciale, Confindustria

Le imprese sono ovviamente preoccupate. Situazioni critiche se ne sono recentemente viste diverse (dalla pandemia alla guerra tra Russia e Ucraina), ma questa crisi pare anche più potente: colpisce il commercio, e rischia di autoalimentarsi. Nel breve periodo gli USA non sono un mercato sostituibile. Confindustria si sta spendendo per velocizzare l’adozione dei nuovi ALS con Mercosur, India e Australia, ma i contraccolpi dei dazi si faranno sentire a livello planetario. Non meno peserà anche il costo dell’incertezza. Cosa fare: azione interna alla UE (rimuovere barriere non tariffarie e ripensare il green deal troppo estremista), azione esterna con i paesi terzi per accelerare gli ALS, azione operativa interna puntando sulla formazione all’ internazionalizzazione.

Sara Armella | Presidente, Commissione Customs & Trade Facilitation, ICC Italia

Si sta davvero realizzando una sorta di rivoluzione: da marzo dazi del 25% su acciaio e alluminio, dal 2 aprile dazi del 25% sull’automotive e dal 9 aprile 20% su tutto, salvo poche eccezioni. Già nel 2008/2009 sono state reintrodotte barriere e tariffe. Dal 2020 le barriere non tariffarie sono cresciute di ben 3,5 volte. Siamo in quella che molti definiscono l’era della “frammentazione”, in cui si è registrato ovunque l’aumento del protezionismo oltre ad una fase detta di “reshoring”. Non è stato però davvero un fulmine a ciel sereno: c’erano già tutti i segnali di questa nuova fase dei rapporti commerciali internazionali. Certamente siamo alla vigilia di una nuova fase del processo di internazionalizzazione per le imprese. Occorrerà creare nuove occasioni e cercare nuovi mercati anche grazie agli Accordi di Libero Scambio, anche se è indubbio che i dazi ci faranno abbastanza male. La sola risposta con contro-dazi UE a prodotti USA non sortirà probabilmente grandi effetti, causerebbe al contrario ulteriori ritorsioni statunitensi. Unica soluzione il dialogo, ma con il meccanismo con cui si sono calcolati dazi presunti a cui si assoggettano i prodotti USA (barriere non tariffarie e IVA compresi nel computo) diventa difficile. “Dove non passano le merci passano gli eserciti…”: oggi si usano i dazi come un’arma, diventa difficile negoziare. L’auspicio è che i mercati restino aperti e che se ne aprano di nuovi grazie agli ALS, magari ripensando anche ad alcuni obiettivi e regolamenti UE che hanno certamente ostacolato gli scambi o rischiano di aggravare quelle famose barriere non tariffarie (CBAM, EUDR, REACH e via elencando).

Paolo de’ Capitani di Vimercate | Presidente, Commissione Taxation, ICC Italia

I cosiddetti elettori USA “red neck” che votano per gli estremismi di Trump sono anche il prodotto di un divario tra essi e chi si è arricchito a dismisura nei settori del digital tech e della finanza. L’opposizione degli USA ai tentativi di tassazione delle big tech da parte dei governi europei non è una novità di oggi, sono almeno vent’anni che ci si prova. La tassazione delle aziende del web USA è difficile, ma non impossibile. Occorre dialogare con gli Stati Uniti, anche suggerendo l’adozione di una tassazione sui consumi da loro poco utilizzata (non hanno IVA). Abbiamo già perso il mercato UK, cerchiamo di non perdere anche quello americano.

Luciano Di Via | Presidente, Commissione Competition, ICC Italia

Nella UE si cerca di contrastare gli aiuti statali, si adotta il regolamento contro le concentrazioni anche per imprese sotto soglia; negli USA per contro vi sono obblighi di trasparenza sui sussidi stranieri e attenzione alla sicurezza finanziaria. Si rischiano attacchi alle autorità sulla concorrenza a beneficio di soggetti non super partes (si veda in UK la sostituzione del dirigente dell’autorità antitrust). Occorre preferibilmente concentrarsi sulle operazioni di merge effettivamente rischiose e semplificare la burocrazia. La concorrenza non è un valore fine a se stesso: se una concentrazione crea valore per la collettività non è da ostacolare. Sulle telecomunicazioni in particolare si sono visti atteggiamenti punitivi poco comprensibili. Occorre uno sforzo maggiore per una definizione dei mercati rilevanti ai fini della valutazione delle concentrazione più ampia e non necessariamente limitata al continente europeo. Inoltre si dovranno ripensare i rimedi, non solo smembramenti ma modifiche dei comportamenti.

Salvatore Maccarone | Presidente, Commissione Banking, ICC Italia

Bisogna capire cosa c’è dietro alle iniziative di Trump: probabilmente un disegno più ampio, oltre a qualche vendetta personale. Gli USA hanno un debito pubblico mostruoso, i dazi faranno male anche a loro senza necessariamente contribuire a riattivare immediatamente e sensibilmente l’industria nazionale, o aumentare l’occupazione, e in generale spingere la crescita anche a fronte di danni in borsa ed inflazione crescente. Per quanto ci riguarda da questa parte dell’Atlantico sono sempre più inaccettabili i paradisi fiscali in paesi membri UE. L’Unione conta 500 milioni di consumatori, un potere enorme da far valere, come pure quello connesso al risparmio dei cittadini europei. Eppure non c’è un sistema alternativo a VISA, Mastercard, Apple Pay e Google Pay. Si inizia a parlare negli USA di titoli a termine con scadenza a 100 anni a sostegno del debito: considerando che lo staff di Trump è fatto da economisti tutt’altro che sprovveduti non si tratta di ipotesi così incredibili.

Dovremo riflettere su tutti questi spunti. E dovremmo farlo in fretta.